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giovedì 8 marzo 2018

Mostra "Ad piatetem populi concitandam peropportuna"


Dei cinque simulacri che costituivano il gruppo degli antichi misteri di Terlizzi, sinora, erano note solo tre sculture: due ancora portate in processione il venerdì santo, ovvero il Cristo nell’orto degli ulivi ed il Cristo Ecce homo, rispettivamente custoditi nella chiesa di S. Lucia ed in quella dei SS. Medici, ed il Cristo morto, anticamente dismesso dai riti processionali e custodito nella chiesa di S. Maria delle Grazie, a cura dei frati cappuccini.
Quest’ultima opera, ancora misconosciuta dai più, era stata portata all’attenzione della città dal giovane studioso Francesco De Nicolo, autore nel 2016 della pubblicazione “Quaresima e settimana santa a Terlizzi. Storia ed iconografia di un rito”. Proprio da queste pagine erano state avanzate ipotesi sulle due statue disperse – il Cristo alla colonna ed il Cristo porta croce – guardando agli omologhi simulacri molfettesi di ben più antica fattura, oltre a ricostruire in modo scientifico gli aspetti storico-artistici ed etnoantropologici di queste antiche ritualità.
A ridestare attenzione sul tema il riconoscimento, in collezione privata, della statua del Cristo alla colonna ad opera di don Michele Amorosini, parroco della Santa Maria di Sovereto, nonché direttore dell’Ufficio Beni Culturali ed Arte Sacra e del Museo diocesano di Molfetta. Grazie ad un’intuizione che gli consentiva di accostare la scultura lignea ai tratti ed alle caratteristiche delle altre statue note, è stato possibile confermare la scoperta ricostruendo le possibili vicende storiche dell’opera e riconducendola alla mano del “Maestro dei Misteri di Terlizzi”. A supportare il sacerdote anche alcuni appassionati di storia e cultori delle tradizioni locali.
Con l’intenzione di mostrare alla comunità locale ed agli studiosi l’importante scoperta, avrà luogo presso la chiesa di S. Maria la Nova un’esposizione temporanea, dal 10 al 22 marzo, che impegnerà nel periodo precedente la Settimana Santa le altre opere superstiti del gruppo dei misteri, riaccostandole dopo almeno due secoli per la prima volta.
#antichimisteriterlizzi


martedì 19 marzo 2013

Mostra di arte sacra presso la chiesa di S. Lucia

Dal 20 al 28 marzo, presso la chiesa di S. Lucia a Terlizzi, mostra di arte sacra sui riti della Settimana Santa.

venerdì 29 aprile 2011

Il Giovedì delle "sette Chiese"

Il Giovedì Santo è il giorno dedicato alla visita dei Repositori, termine che dopo il Concilio Vaticano II ha sostituito il vocabolo Sepolcri in quanto il giovedì Santo non viene venerato il Cristo morto ma Gesù vivo nel sacramento dell'Eucarestia.
Proprio a causa di questa nuova interpretazione ecclesiastica, Terlizzi ha dovuto abbandonare una importante tradizione legata al Giovedì Santo e alla Madonna Addolorata, sulla quale non voglio anticipare nulla in attesa di maggiori dettagli.
Invece è rimasta immutata la tradizionale visita alle "sette chiese", espressione che a Terlizzi indica per antonomasia l'esercizio della visita dei Repositori.
In passato, come ricordano i più grandi, il Giovedì Santo tutte le chiese della città erano aperte per esporre l'Eucarestia; oggi invece l'esposizione è limitata alle sole parrocchie della città che sono per l'appunto sette.
I Repositori possono essere visitati una volta terminata la funzione della "lavanda dei piedi", e la visita può essere individuale o comunitaria. Le visite comunitarie sono organizzate da ciascuna parrocchia con l'eventuale confraternita che vi esercita. Durante il tragitto da una chiesa all'altra un membro del gruppo suona la troccola (in dialetto terlizzese "la trozzuə" ) tipico strumento della Settimana Santa tarantina che viene suonato a Terlizzi solo la sera del Giovedì Santo.
Giunti in chiesa si effettua un momento di adorazione con la lettura, in ciascuna delle sette parrocchie, di una delle sette preghiere presenti nel libretto "Preghiamo fratelli - Momenti eucaristici per il Giovedì Santo" o le successive ristampe.

Sopra: Parrocchia Concattedrale di S. Michele


Sopra: Parrocchia Immacolata

Sopra: Parrocchia S. Gioacchino

Sopra: Parrocchia SS. Crocifisso

Sopra: Parrocchia Santa Maria di Sovereto

Sopra: Parrocchia SS. Medici

Sopra: Parrocchia Santa Maria della Stella (nuova)

Foto e testo di Francesco De Nicolo

venerdì 3 dicembre 2010

La Confraternita del Santo Monte dei Morti

Come a Molfetta, anche a Terlizzi, un tempo esisteva un pio sodalizio che si occupava del culto dei morti e delle anime purganti.

La Confraternita del Santo Monte dei Morti, in tempi più recenti chiamata semplicemente Congrega della Morte, nacque ad opera di un gruppo di zelanti professionisti e di nobili, con a capo l’avvocato Cesare Zappa, in una chiesetta al di fuori delle mura medioevali dedicata a Santa Maria Maddalena.

La confraternita riscosse, col tempo, il grande favore della gente, soprattutto tra le classi più basse che non potevano permettersi una degna sepoltura, garantita invece a tutti i confratelli nelle cripte della Chiesa della Maddalena.

A distanza di qualche decennio, nella stessa chiesa trecentesca, andarono a insediarsi due nuovi sodalizi: quello di San Carlo Borromeo, fondato pochi anni dopo la santificazione del cardinale milanese da un gruppo prevalentemente composto da aristocratici terlizzesi, e quello dell’Immacolata che secondo il progetto iniziale doveva inglobare i due precedenti.

A questo punto fu indispensabile per le tre confraternite disporre di una chiesa più grande poiché l’antica chiesetta era diventata ormai inadatta ad accogliere la moltitudine di fedeli.

E così nell’area antistante il tempietto trecentesco, venne costruita la nuova chiesa, dedicata al Santo Monte Purgatorio e corrispondente alla navata centrale dell’attuale chiesa dell’Immacolata.

A destra e a sinistra di quest’aula, pian piano, i signori locali vi federo aprire delle cappelle, che nell’Ottocento vennero messe in comunicazione tra loro, rendendo la chiesa a tre navate.

Ai principi del Settecento, per volontà testamentaria del nobile Antonio Lioy, andò a formarsi, sulla falsariga del capitolo collegiale di S. Michele Arcangelo, ma in antitesi a questo, un capitolo composto da dodici canonici con a capo un Prefetto, che il popolo non esitò a chiamare selvaggio (illegale). Il Monsignore Antonio Pacecco, in visita apostolica a Terlizzi, vide di buon occhio quella istituzione per il suo allineamento all’autorità del vescovo diocesano. Intervenne anche personalmente per consolidare le tre confraternite, unendole sotto l’unico titolo di Monte dei Morti o Purgatorio e dotandole di uno statuto sociale.

I tre sodalizi unificati ebbero il regio assenso con decreto datato 19 ottobre 1776.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, essendosi ridotto notevolmente il numero dei membri, la Congrega della Morte divenne il tronco sul quale si innestò la nuova confraternita della Madonna del Riposo.

Alla ricerca di una propria identità, il sodalizio acquistò nel 1920 l’oratorio privato della famiglia Carelli dedicato ai tre patroni biscegliesi Sergio, Mauro e Pantaleone, che assunse in seguito il nuovo titolo di Chiesa della Madonna del Riposo.

Dopo qualche anno, però, la confraternita si scisse in due tronconi: uno continuò a esercitare nell’oratorio di Torre Carelli mantenendo il titolo di Madonna del Riposo, e l’altro tornò a riappropriarsi dell’antico titolo del Santo Monte del Morti trasferendosi nella chiesa del cimitero, laddove la confraternita continuò il culto dei morti e del suffragio delle anime.

Durante le ricerche di queste informazioni, mi sono imbattuto in una curiosa testimonianza di Mons. Gaetano Valente che ricorda la figura austera di un vecchio confratello che, alla stregua degli incappucciati medioevali, con un teschio di legno ben lucido su una mano e un campanello nell’altra, girava nelle strade del paese e fermandosi, a voce spiegata, gridava: “ricordatevi dei poveri morti”, senza mai mancare di suscitare la pietà dei buoni per qualche spicciolo, che raccoglieva nel suo teschio-salvadanaio e che poi la congrega devolveva per messe in suffragio.


Testo e foto di Francesco De Nicolo

Le due foto: altorilievo di teschio nella parrocchia Immacolata; chiesa del cimitero


venerdì 5 novembre 2010

Il 2 Novembre a Terlizzi

E' un mistero tutto ciò che vive e muore nel creato. Di fronte alla morte l'anima dei nostri progenitori si riempiva di una nuova misteriosa paura: cosa è la vita?...Una speranza continua?...Un'illusione eterna?....Un sogno morente?...
Il nostro popolo ha cercato nel tempo le sue certezze e ci ha tramandato le sue risposte: sìm nòddə mùrtə; mén də nùddə sènz'u arrecùrdə (siamo niente dopo morti; meno di niente senza il ricordo).
Allora è dovere ricordare e, da tempo immemorabile, ci indicano come. Un tempo non c'era il Camposanto ed i morti si seppellivano negli "ossari" delle chiese. Non si usavano neanche le bare individuali ed ogni morto veniva trasportato in una cassa comune, portato a spalla da 4 persone di riguardo, scelte dalla famiglia. Per le fanciulle era d'obbligo che i 4 fossero celibi. Di qui un'antica e mesta canzone terlizzese: vulàiə murèiə, p sci 'ngùddə, àllə vacandèiə (voleva morire, per essere trasportata dai celibi).
Il corteo funebre era una vera e propria processione con le candele accese. In chiesa dopo la messa, il rito funebre si concludeva con la discesa del corpo del morto dell'ossario comune a tutti i parrocchiani, salvo i ricchi ed i nobili che avevano le loro cappelle o altari di famiglia all'interno della stessa chiesa. L'ossario comune consisteva in un ampio, chissà quanto tetro, "stanzone" con sedili di pietra lungo le pareti ed il "compare della ginocchiata", una persona di riguardo scelta dai famigliari del morto, dava, appunto, una ginocchiata al corpo perché rimanesse seduto accanto agli altri defunti. Pare che poi il corpo venisse ricoperto di calce e l'ultima operazione fosse la "incalciatura" : è questo l'antico nome della più recente "quarticèddə" che veniva mangiata in campagna, il giorno dei morti, nella pausa pranzo, la "murènnə" dei nostri contadini.
La mattina presto di ogni 2 novembre, da secoli ormai, i terlizzesi si alzavano, come al solito, per andare a lavorare nei campi. Verso le 3 di notte andavano in chiesa, assistevano alla messa ed all'officio dei morti e portavano con , nella bisaccia, la "incalcinata" o la "quarticèddə" invece del consueto "checùzzuə", la parte estrema della "sckanàta" o di altra forma di pane antico, cui si toglieva un po' di mollica, si farciva di ricotta e veniva poi richiusa, come un tappo, dalla mollica rimossa prima. La "incalcinata" era un pane dalla forma antichissima, conservata ancora oggi nel nostro "pizzarìddə" ed è un inno alla vita cantato dalla nostra gente proprio nel giorno dedicato ai morti. La "vescica piscis" è il simbolo della vita che continua, nonostante la morte, perché la natura ha eterne le sue primavere...
Il pane, da sempre, ha rappresentato la vita per il corpo e, per estensione, il corpo stesso.
La "incalcinata" deriva dalla farcitura con ricotta "asckuàndə", quasi un "imbiancare di calce", un "purificare" un corpo che potrebbe diventare immondo per malattia o per morte, E' questo il modo scelto dei nostri progenitori per esorcizzare la paura della morte. La "quarticèddə", più recente, prende il nome dalla quarta parte del peso che aveva il pane comune, confezionato in casa, dalla nostra gente.
Questo è un tipico pane votivo che sopravvive "incorrotto" da un pre-cristiano culto per un'antica dea dell'abbondanza e della fecondità.
La ricotta inforcita, usata come farcitura, oltre all'analogia con la calce, viene ulteriormente condita con peperoncino o pepe ed alici per dare più vitalità alla riuscita della colazione.
Poiché la "quarticèddə" non era certo la colazione adatta per i bambini, i nostri saggi progenitori preparavano loro la "còlv" (un dolce al cucchiaio). La "còlv" è, quasi sicuramente, un'usanza
ereditata dai cristiani di rito greco.

Testo di Olga Chiapperini
Foto do Francesco De Nicolo